Quando Google, Wiki o Facebook non vi bastano più

 

Buongiorno, mi presento. Io sono un bibliotecario. A cosa serva una biblioteca lo sappiamo tutti. Nell'immaginario collettivo, la biblioteca è il posto dove si va a studiare o a prendere i libri a prestito. Più in generale, la biblioteca è un servizio che fornisce alla propria comunità di utenti l'accesso gratuito a un'informazione selezionata e autorevole.

 

Questo punto, la qualità dell'informazione, è molto importante.

 

Ora, voi siete studenti di un liceo scientifico e state per scegliere un percorso universitario. Per alcuni di voi questo continuerà con una specializzazione e forse con una carriera di ricercatore. Quello che desidero proporvi è, molto semplicemente, qualche strumento che vi potrà essere di aiuto nel vostro percorso.

 

Fermo restando che per approfondire un argomento serve un libro di testo, è ovvio che per cercare un'informazione si vada su internet. Gli strumenti che usate più spesso immagino siano Google e Wikipedia, oltre ai social media.

 

Supponiamo che vogliate studiare il bosone di Higgs. Proviamo a cercarlo con Google. Tra i primi risultati troviamo principalmente siti o articoli divulgativi, utili per farvi un'idea, ma poco specializzati. Senza contare che potreste trovare siti controversi e per questo molto popolari. In testa, come sempre, Wikipedia. Io trovo affascinante il concetto di wiki, di enciclopedia aperta, cui tutti possiamo in qualche modo contribuire. Questo però è anche il suo limite.

 

Lo sapete cosa distingue un lavoro accademico da un wiki? Il vaglio della comunità scientifica. Wikipedia non può essere una fonte attendibile d'informazione accademica perché gli articoli non sono firmati, non è ammesso dibattito e i contenuti della ricerca più avanzata non sono ammessi perché non ancora universalmente riconosciuti. Se si ha la pazienza di arrivare il fondo alla pagina di wiki, è là che si trova la parte più interessante, sotto forma di bibliografia delle fonti originali.

 

Ma noi vogliamo trovare gli articoli scientifici fondamentali, quelli che non emergono in una ricerca generica, perché dedicati a un pubblico di specialisti. Allora dovremo usare degli strumenti più raffinati. Per esempio, Google Scholar, motore di ricerca di Google che interroga solo banche dati di letteratura accademica - con la stessa sintassi di Google. Oppure banche dati bibliografiche disciplinari: se siamo nel campo biomedico, useremo PubMed e i suoi 24 milioni di citazioni.

 

A questo punto li vogliamo leggere, questi articoli. A volte si pensa che in internet tutto sia gratis, ma non è così. Avremo a disposizione gli abbonamenti della nostra biblioteca. Tuttavia, a volte sbatteremo contro il cosiddetto "paywall", lo sbarramento del costo dell'articolo. Ci sono diverse opzioni per superarlo, e qui è in atto una vera rivoluzione. Ve ne parlerà il mio collega.

 

Prima di lasciargli la parola, voglio togliervi una curiosità che forse avrete. Come si pubblica un articolo?

 

Supponiamo sia già stato scritto, possibilmente in maniera accurata. L'autore sceglie una rivista specializzata e sottopone il proprio lavoro. Questa è una scelta impegnativa, perché il valore di uno scienziato si misura anche in base al prestigio delle riviste su cui pubblica.

 

Ogni rivista ha un comitato di redazione. Un redattore (editor in inglese) organizza il referaggio (peer review), cioè la valutazione critica di un articolo da parte di altri ricercatori, in genere tre. L'autore conosce il redattore ma non i revisori, che sono anonimi. Questi possono richiedere all'autore modifiche e spiegazioni, in seguito alle quali l'articolo è accettato o rifiutato.

 

Nel primo caso, l'autore firma un contratto di licenza con il quale cede tutti i diritti di sfruttamento e riutilizzo del proprio lavoro all'editore, in cambio del privilegio di essere pubblicato. Nel secondo caso, l'autore è libero di tentare con un'altra rivista.

 

Credete che l'autore venga pagato? Al contrario, spesso è l'autore o la sua istituzione a dover pagare una quota di pubblicazione. La stessa istituzione deve poi pagare cifre esorbitanti per gli abbonamenti alle stesse riviste, dove magari ha già pagato per pubblicare. È un sistema perverso di cui beneficiano solo i grandi editori, e contro il quale sta sorgendo una reazione da parte di ricercatori e biblioteche. Il risultato a oggi è quello che vi racconterà Valerio.